Solidarietà a Salman Rushdie e libertà di espressione e opinione

Il 12 settembre 2022 l’associazione Neda Day di Pordenone ha organizzato l’incontro “La libertà di espressione e di opinione” di solidarietà a Salman Rushdie ad un mese dall’accoltellamento che lo scrittore ha subito negli Stati Uniti.

Pubblichiamo l’intervento di Loris Tissino.

Buon pomeriggio.

Ringrazio sentitamente l’associazione Neda Day per aver organizzato questo incontro di solidarietà con Salman Rushdie e per la libertà di espressione e di opinione.

Libertà, queste, che comprendono quella di cambiare religione, di non professarne alcuna, di abbandonare quella della famiglia o della comunità in cui si è cresciuti, di dichiararsi apostati e atei, di criticare le religioni e le presunte divinità.

Libertà che in molti paesi non sono per nulla garantite e in altri sono garantite solo formalmente, perché le persone che compiono abusi in nome e per conto delle organizzazioni religiose non vengono perseguite dalla legge.

Perché non c’è solo Salman Rushdie.

C’è anche Leena Manimekalai, poetessa e regista indiana sotto inchiesta per offesa dei sentimenti religiosi per aver pubblicato un’immagine di sé vestita come la dea Kali.

C’è l’attivista Rusthum Mujuthaba, che nel suo paese, le Maldive, dove la costituzione dice che la libertà è sottoposta alla Shari’ah e che i cittadini hanno il dovere di proteggere l’Islam, è stato condannato a quattro mesi di prigione per i suoi tweet in favore dei diritti delle donne e della libertà religiosa, e che adesso — libero — vive costantemente minacciato.

C’è Raif Badawi, scrittore che in Arabia Saudita ha scontato una condanna a dieci anni di prigione (e ha ricevuto cinquanta delle mille frustate previste) per avere “insultato l’Islam tramite canali telematici” e a cui adesso è impedito di lasciare il paese.

Ma, anche qui in Europa, c’è il caso di Gáspár Békés, attivista ateo ungherese, licenziato dal suo posto di lavoro presso la municipalità di Budapest per aver sostenuto sui social network che il battesimo di infanti viola i diritti umani, e ora vive sotto costanti minacce di morte su cui la polizia rifiuta di investigare.

Ho citato qui solo alcuni dei casi di cui si è occupata recentemente Humanists International, l’organizzazione internazionale di cui fa parte l’Uaar, con la sua campagna “Protect Humanists at Risk” (“Proteggi gli umanisti a rischio”). Alcuni casi tra molti, troppi.

E non siamo preoccupati solo per i comportamenti delle autorità dei paesi dove la blasfemia e l’apostasia sono punibili con la morte. Ci preoccupa anche che nei paesi occidentali, dove la libertà di espressione è teoricamente assestata, ci sia più di qualcuno che colpevolizza, anche in questo contesto, le vittime, che “se la sono cercata”, che “dovevano stare attente a non offendere”, ecc.

Come ha scritto recentemente Andrew Copson, presidente di Humanists International, «qualcuno dice: “La violenza è sbagliata, ma non pensi che sia sbagliato anche offendere le persone come ha fatto lui?”. In una parola: no.»

Le parole, a meno che non si tratti di incitamento all’odio e alla violenza, non danneggiano nessuno. Se pensi di offenderti leggendo le opinioni di qualcuno, non leggerle: nessuno ti obbliga a farlo. E comunque, per quanto possano disturbarti le opinioni altrui, dovresti apprezzare il fatto di essere venuto in contatto con esse, perché potrebbero arricchirti anche se non le condividi completamente. E, in ogni caso, la libertà viene prima di tutto, per tutti.

Grazie per l’attenzione.